venerdì 26 dicembre 2008

Leo, Bart e il nemicio del cuore

Leo e Bart erano due fratelli che non avrebbero potuto essere più diversi. Bart era piccolo e cicciottino, aveva sempre voglia di scherzare ed era il più abile rubaformaggi del paese. Leo, al contrario, era un topo alto alto con due baffi lunghi lunghi, sospettoso di tutto e sempre pronto a veder sventure.
Una mattina, stavano giocando a nascondino nel porto, quando accadde un evento che cambiò la loro vita.
“Tana per Bart dietro la bitta! Bart BAART ti ho visto!”. Ma Bart non lo stava ascoltando, immobile guardava rapito una grande goletta ormeggiata davanti a loro. Il veliero era maestoso. Aveva tre alberi alti carichi di corde e vele, una prua imponente e sulla poppa un timone lucido e splendente.
I due fratelli ne rimasero affascinati e restarono tutto il giorno sulla banchina ad ammirarla.
“Domani ripartirà!” esclamò Bart verso sera “non possiamo perdere quest’occasione! Facciamo appena in tempo ad andare a casa a prendere le nostre cose ed imbarcarci ”.
“Non se ne parla neppure!” ribatté Leo deciso.
Passarono tutta la notte a discutere. Leo elencò tutte le possibili catastrofi che in mare possono accadere ma Bart fu irremovibile! “Vieni con me Leo gireremo il mondo, conosceremo posti nuovi, formaggi nuovi e chissà quali avventure potremmo vivere!”
Leo non era assolutamente d’accordo ma non ebbe il coraggio di lasciar partire suo fratello da solo e così, di notte, in silenzio, si arrampicarono sulla catena dell’ancora e salirono a bordo della goletta.
La voce del capitano li svegliò: “Ohoo - Ohoo tirate su l’ancora! Spiegate le vele! - La bella sirena - è pronta a partire!”.
“La bella sirena! Che bel nome per una barca. Non sono mai stato così felice in vita mia, su con la vita fratellino ci divertiremo un mondo!” squittì felice Bart.
Durante la prima settimana di navigazione fecero conoscenza con Ulderico. Ulderico era il gatto nero del cuoco. Vecchio, furbo e diffidente quasi quanto Leo, non riusciva mai a vederli ma sapeva che c’erano e non passava giorno senza che tendesse loro qualche tranello.
Navigarono tranquillamente per diverse settimane, finché, una brutta notte, Leo si svegliò di soprassalto. Il ponte, a quell’ora di solito tranquillo e silenzioso, era pieno di marinai che urlavano e si agitavano.
Il topolino preoccupato osservò il mare, onde alte ed oscure minacciavano la nave. Una tempesta si stava avvicinando.
Leo, spaventato, andò a svegliare il fratello. “Bart, Bart presto vieni sul ponte, ho paura che stiano arrivando guai grossi!”. Bart capì immediatamente il pericolo che stavano correndo. Prese una corda e si legò a Leo “così non ci perderemo” disse controllando bene i nodi. “Vieni nascondiamoci qui” e si infilò con il fratello in una cesta piena di reti.
La tempesta arrivò e fu terribile, la goletta fu spezzata in due e affondò.
I due fratelli rimasero aggrappati alla cesta, uno vicino all’altro, senza avere il coraggio di guardare la tragedia che stava avvenendo.
La mattina dopo, all’alba, si trovarono stremati ma vivi in mezzo al mare. Non si vedeva all’orizzonte nulla, solo acqua. Ma ecco, nel silenzio più totale, un debole lamento:
“Miaoo miaoo”
“ E’ Ulderico!” gridò Bart. “Facciamolo salire a bordo!”
“Sei impazzito? Appena sulla cesta ci mangerà” obiettò impaurito Leo. “Non importa, non possiamo lasciarlo affogare!” ribatté Bart mentre lo tirava su per la coda.
Sulla cesta Ulderico, mezzo morto, sputò un po’ di acqua, aprì un occhio e poi l’altro. Si tirò su, guardò i suoi salvatori e borbottò: “E’ disdicevole che un gatto venga salvato da un topo anzi… da due, è una cosa che non si deve sapere e per esserne sicuro vi mangerò!”.
I due fratelli indietreggiarono terrorizzati ma poi videro Ulderico rotolarsi per terra dal gran ridere “Ah ah ah ci avete creduto! Era uno scherzo! Ma come potrei mangiarvi dopo che mi avete salvato la vita!”. I topolini tirarono un gran sospiro di sollievo e abbracciarono il vecchio gatto! “Ehi, ehi, non esageriamo!” si divincolò Ulderico un po’ imbarazzato. “Sono sempre un gatto! Comunque grazie amici, prometto che da oggi in poi non mangerò mai più topi, in cambio voi però dovete giurarmi che non racconterete mai a nessuno che il vecchio Ulderico è stato salvato da emh……due topolini”.
“Giuriamo!” risposero in coro Bart e Leo.
Per due giorni il mare trascinò la cesta senza un’apparente meta e poi la lasciò sulla spiaggia di una bellissima isola. I tre amici uscirono finalmente dalla loro scialuppa di fortuna, si sdraiarono esausti sulla sabbia e si addormentarono.
Un’onda dispettosa svegliò Bart di soprassalto, stava per riaddormentarsi quando sentì un pianto disperato giungere dal mare. Bart si guardò cautamente intorno e vide, nascosta sotto delle conchiglie, una graziosa topolina bianca. “Chi sei e perché piangi?” domandò premuroso: “mi chiamo Beatrice e sono la regina di quest’isola. Questo posto è pericoloso è meglio per voi se ve ne andate via subito!”
“Non possiamo andare via” s’intromise Leo, che nel frattempo aveva raggiunto il fratello. “La nostra nave è naufragata e le correnti e la fortuna ci hanno portato qui. Ma tu perché sei così spaventata?” Bea sollevò il musetto e cominciò a raccontare: “Sull’isola abita Retius - un serpente gigantesco - tutti gli animali che riesce a catturare li imprigiona e poi li mangia quando ne ha voglia. Tra poco toccherà anche a noi!” singhiozzò disperata la regina.
“Io non ho nessuna voglia di essere mangiato da un serpente” esclamò deciso Bart. “E nessuno è invincibile! Anche gli animali più potenti hanno dei punti deboli! I serpenti ….uhm…i serpenti credo che ci vedano maluccio!” Ulderico lo guardò con interesse: “per essere un topo non sei niente male!” commentò. “Mi hai fatto venire in mente un’idea” continuò il gatto. “Nel cesto che ci ha portato in salvo, sotto le reti, c’è un barattolo di colla, potremmo travestirlo da topo, il serpente lo ingoierà e quando il barattolo si romperà la sua bocca e il suo stomaco rimarranno incollati e così non potrà più mangiare nessuno!”. Il piano di Ulderico fu approvato all’unanimità e i quattro amici si misero subito all’opera.
I topolini sacrificarono un po’ del loro pelo, Ulderico cedette i suoi baffi e per la coda utilizzarono un po’ di corda grigia trovata sempre dentro la cesta.
Lavorarono per giorni, con precisione ed in silenzio, finché alla fine il lavoro fu completato. “E voilà” esclamò alla fine Bart molto soddisfatto. “Mi somiglia molto, anche se, naturalmente, io sono più bello e anche più magro!!”
Finalmente erano pronti per la trappola, muovendo il barattolo-topo con dei fili lo fecero avvicinare a Retius che, invogliato da quella che sembrava una bella pancia grassa, lo inghiottì in un sol boccone.
Dopo qualche minuto i quattro coraggiosi amici gli si avvicinarono.
“Brutto serpentaccio libera tutti gli animali che tieni prigionieri e vattene da quest’isola” ordinò Ulderico.
“Siete divertenti! Vi mangerò per ulti…” ma, non riuscì a terminare, la colla gli aveva incollato la lingua.
“Evviva! Ce l’abbiamo fatta!” esultarono i cospiratori. Immediatamente il serpente, ormai inoffensivo, fu imprigionato e tutti gli animali furono liberati.
La sera, Bart e Leo, organizzarono una gran festa attorno all’ammutolito Retius. Tutti ballavano e cantavano solo Bea continuava a guardare preoccupata il prigioniero. “Dolce regina” intervenne allora Ulderico. “Tra qualche giorno l’effetto della colla probabilmente scomparirà ma, rinchiuso in una gabbia, Retius non sarà più un pericolo per nessuno!”
“Grazie amico mio, senza di te non ce l’avremmo fatta!” mormorò grata la regina. “Ti dobbiamo la vita!”
“Anch’io devo la vita a qualcuno e in un certo qual modo ho pareggiato i conti” concluse soddisfatto il gatto.
Sull’isola, senza l’incubo del mostro, la vita ricominciò e il sorriso ritornò sulla bocca di tutti. Di tutti, tranne che di Leo e di Bart, che cominciavano ad avere nostalgia della loro casa.
Beatrice, visti i suoi amici così tristi, li rassicurò: “Non vi preoccupate, qui spesso le grandi navi si fermano a fare acqua, vedrete, a breve potrete tornare a casa.”
E così fu. Un mese dopo una grande bastimento si fermò sull’isola e dopo breve ripartì con 3 passeggeri in più Bart, Leo e Ulderico.
Quando tornarono a casa la colonia dei topi preparò un gran banchetto. Ci volle un po’ di tempo per convincere tutti i membri ad invitare il gatto, ma infine Ulderico partecipò e la festa fu veramente straordinaria Bart e Leo mantennero la promessa fatta ad Ulderico e non raccontarono mai che l’avevano salvato e Ulderico mantenne la sua e non mangiò mai più un topo.

domenica 14 dicembre 2008

Uno strano bidello

Rubio non era proprio il solito gatto, che abitava nella solita casa, con la solita famiglia, no, lui era un gatto un po’ speciale. Viveva, con circa trecento bambini, in una grande e bella scuola elementare.
All’interno della scuola aveva molti privilegi.
Poteva stare acciambellato sulla cattedra della maestra o sotto il banco di un alunno o addirittura sulla poltrona nell’ufficio della preside senza che nessuno mai lo cacciasse via, e sapete perché poteva fare tutto questo? Perché Rubio era il gatto invisibile di una fatina distratta che lo aveva dimenticato lì.
La mattina, quando gli scolari, tutti belli ordinati nel loro grembiule azzurro, entravano in classe, Rubio, da sotto un banco, si stiracchiava pigramente, si accoccolava sulle ginocchia delle maestre e ascoltava, per la millesima volta, le lezioni di geografia o di storia o di matematica.
Il momento che gli piaceva di più era la ricreazione. C’era sempre una gran confusione. Chi giocava a pallone, chi a campana, chi più tranquillamente a carte, ma tutti, compreso Rubio, si divertivano come matti!
Un giorno, proprio durante una di queste ricreazioni, mentre si stava appisolando al sole, gli si avvicinò un bimbetto, lo guardò per un po’ con aria curiosa e poi gli chiese: “Vuoi un po’ della mia merenda? Io proprio non ce la faccio a mangiarla tutta!”
“Tu .. tu .. mi vedi?” balbettò Rubio. “Certo, perché non dovrei, in fondo non sei così magrolino, anzi….” esclamò divertito il bimbo. “Non dovresti vedermi perché sono un gatto magico!” ribatté piccato Rubio. “Va bene, va bene, non ti volevo offendere! Allora lo vuoi un pezzo del mio panino al formaggio?”
”Formaggio? Questa è musica per le mie orecchie non ne posso più di cioccolato o merendine!”
E così Giulio e Rubio diventarono amici.
Tutto sembrava trascorrere senza problemi quando, a metà dell’anno scolastico, arrivò un nuovo bidello. Severus.
“Uffa Rubio” si lamentò qualche settimana dopo Giulio. “Non ne posso più di Severus! Non potresti fare una magia e farlo ammutolire fino alla fine dell’anno scolastico?”
“Bha .. al massimo posso slacciargli le scarpe, sempre se riesco ad avvicinarlo!” miagolò Rubio. “E’ strano, ma sembra che faccia di tutto per evitarmi!”
“Impossibile, ti ricordo che non ti può vedere!” ribatté Giulio. “Forse.. o forse si!” concluse Rubio avviandosi pensieroso verso la biblioteca.
Il giorno dopo Giulio lo trovò ancora lì, sotto una montagna di libri. “Che fai? Pensavo che conoscessi a memoria le nostre materie!”
“Certo che è così, ma non sono i volumi della biblioteca scolastica che sto consultando bensì i miei testi magici. Severus mi incuriosisce e mi preoccupa. I miei libri descrivono tutte le creature che vivono nel mondo incantato. Guarda questi” disse indicandogli una pagina di un libro rimasto aperto. “I signori del nonsapere. Maghi potenti, e molto molto pericolosi”.
“Chi sono i signori del nonsapere e cosa vogliono?” domandò preoccupato Giulio.
“Sono spiriti malvagi che rubano le menti delle persone; Severus è certamente uno di loro e che sia venuto qui non mi piace per niente..”
“Beh cacciamolo via allora!” Rispose battagliero Giulio.
“Non è così semplice” ribatté Rubio. “Andrò nel regno delle fate a chiedere consiglio”. “ Tu però promettimi che eviterai per quanto possibile Severus, è troppo pericoloso!”
“Va bene, te lo prometto! Ma tu torna presto”
“Contaci!” e così dicendo il gatto svanì.
Passarono alcune settimane durante le quali, purtroppo, due maestre scomparvero.
Una mattina finalmente, Giulio sentì una linguetta ruvida sulla punta del naso. “Rubio! Meno male sei tornato! Avevi ragione, qualche giorno fa ho visto Severus portare con una scusa la mia maestra Sofia nell’infermeria, e poi rimpicciolirla fino a farla diventare a così piccola da farla stare in una scatolina di metallo!” esclamò disperato Giulio.
“Dove tiene Severus questa scatolina?” chiese Rubio.
“Appesa al collo ma non se ne separa mai!”
“Non importa, risolveremo presto tutto. Guarda all’interno di questo sacchetto!”. Giulio prese in mano un involucro di stoffa viola, sbirciò dentro e vide un piccolo, piccolissimo topino giallo. “Che cos’è?”
“Come che cos’è, non lo vedi, è la soluzione ai nostri problemi!”. “A dir la verità io vedo soltanto un piccolo e brutto topetto” “Uffa, non fermarti all’apparenza questa è la salvezza della nostra scuola!”
“Ma come….cosa….dove lo mettiamo?”
“Oh è facile, Severus deve solo ingoiarlo”
“Ah! Solo questo?” domandò ironico Giulio. “E come facciamo? Gli diciamo: ecco, qui c’è un grazioso topino, ne vuoi un po’ per merenda?”
“Beh, in effetti non tutti come me apprezzano i topi, ma, d’altronde, questo è quello che mi hanno detto di fare le fate, se tu hai altre soluzioni accomodati.”
“Dai Rubi non fare il permaloso, solo penso che non sarà semplice”.
“Si, non sarà semplice ma io ho un piano..” ribatté il gatto “ora ti spiego ….”
La mattina dopo, alla fine delle lezioni, con una scusa, Giulio rimase nei corridoi della scuola finché non si furono allontanati tutti. Dopodiché, andò a cercare il mago.
“Cosa fai ancora qui?” sbraitò il bidello. “Ti metterò in punizione!”
“Io sto qui quanto mi pare mio caro mago da strapazzo”. Gli urlò in tono di sfida Giulio.
Severus rimase per un attimo impietrito e poi con il volto scuro scuro avanzò lentamente verso il bambino. Allora, come avevano stabilito la sera prima, Giulio corse verso le scale. Severus lo inseguì ma, appena mise il piede sul primo gradino Rubio gli si infilò fra le gambe facendolo ruzzolare giù per le scale e, come arrivò in fondo, Filippo e Giulio gli si buttarono addosso immobilizzandolo con una rete trovata nel teatro della scuola.
“Mangia questo bel topino Severesuccio mio” lo canzonò Rubio ma,poiché il mago non aveva nessuna intenzione di collaborare, il gatto tirò fuori le unghie e gliele conficcò in una ganba.
“Aah” urlò di dolore Severus, ma il suo grido fu soffocato dal topo che Giulio nel frattempo gli aveva prontamente infilato in bocca.
Quando anche la coda sparì dalla vista dei due amici entro la bocca del bidello la scatoletta di Severus, cominciò a vibrare tutta. Si alzò nell’aria e d’incanto si aprì lasciando uscire le due maestre rapite.
“Giulio, ci hai salvato” dissero le maestre mentre riprendevano le loro dimensioni normali. “Abbiamo sentito tutto da dentro la nostra prigione, sei stato bravissimo ma chi questo coraggioso gatto?”
“Oh è una storia lunga” rispose Rubio anticipando il suo amico mentre osservava il mago che lentamente si stava dissolvendo insieme al suo magico contenitore.
“Mie gentili signore, fra poco vi racconteremo tutto ma, potete solo scusaci un momento?”e così dicendo il gatto prese Giulio in disparte. “Amico mio ora devo fare un incantesimo per far dimenticare a tutti quello che è successo, è bene che il nostro mondo rimanga sconosciuto”.
“Peccato …. Sarebbe stato il primo anno in cui finalmente avrei sicuramente avuto una pagella bellissima!”
Rubio sorridendo si strusciò sulle gambe del suo amico e svanì
“Allora, raccontaci come hai fatto” chiese sorridendo la maestra Sofia prendendo in braccio il suo piccolo allievo
“Beh è stato facile, sapete come è cominciato tutto?” esordì pomposamente Giulio.
“Vorrei piuttosto sapere che fai qui a quest’ora?” lo rimproverò cambiando improvvisamente tono la sua maestra.
“Uffa, poteva almeno aspettare che finissi ..” pensò sbuffando Giulio e poi rispose: “Avevo dimenticato il diario, ora vado scusi….”
Se sapesse mormorò fra se e se i ridacchiando Giulio.
Appena fuori dalla scuola il suo amico a quattro zampe gli si materializzò vicino. “Senti Rubi è un po’ che volevo chiedertelo, che fai quest’estate?”
Fu così che al termine dell’anno Rubio decise di passare le vacanze con il suo amico Giulio, cominciò così una grande amicizia.

Triangus

Hai preso il cappello?” “Si mamma!” Giulio e Rubio erano pronti dalle sei del mattino. La gita ad Ostia Antica Giulio l’aveva aspettata a lungo.
“Non vedo l’ora di sedermi nel teatro antico o di passeggiare su strade che imponenti eserciti hanno percorso!” mormorò Giulio a Rubio, il suo amico invisibile, mentre finiva di chiudere lo zaino. “Vuoi dire che non vedi l’ora di morire di caldo camminando per ore in mezzo a mucchi di sassi!” ribatté seccato il gatto.
Rubi era molto meno entusiasta della gita e Giulio aveva dovuto insistere non poco per convincerlo a partecipare insieme con lui.
“Forza! Sbrigati altrimenti facciamo tardi!” disse Giulio acchiappando Rubio per la collottola, per essere ben certo che non “sparisse” al momento opportuno, e saltò dentro la macchina.
La guida che li portava in giro era noiosa e i due amici ben presto si staccarono dal gruppo e cominciarono a gironzolare per conto loro.
“Bello questo posto eh?”commentò Giulio.
“No!” ribatté il gatto. “Fa caldo, ho sete, la guida non capisce niente e…!”
“E basta! Dici questo solo perché volevi restare a dormire, sei solo un pigrone!”.
Mentre stavano discutendo, all’improvviso, un forte odore d’incenso riempì l’aria, e l’ombra di un animale si stagliò in mezzo a loro. Meravigliati smisero di litigare e cercarono di capire da dove venisse quell’odore e dov’era l’animale di cui vedevano l’ombra. Guardarono con attenzione e videro, poco più in là, seduto su una grande pietra, uno strano gatto. Aveva un muso triangolare ed era magrissimo. Giulio fece per accarezzarlo ma il gatto svanì un attimo prima di essere toccato. “Oh! Anche lui è un gatto magico, pensavo fossi l’unico!”.
“In effetti nel mondo delle fate sono l’unico gatto invisibile e l’unico animale magico a cui è consentito di vivere nel mondo degli umani. Tutto ciò è molto strano!”.
I due amici si avviarono pensosi verso i loro compagni che si erano fermati a mangiare all’ombra di una bellissima quercia.
“Ma se non viene dal mondo incantato da dove viene?” sussurrò Giulio mentre mangiava il suo panino al formaggio.
“Non so, sono stupito quanto te” rispose Rubio.
“E perché è sparito quando ho cercato di accarezzarlo?” continuò Giulio.
“Forse perché non si fida di noi” suggerì il gatto, “ma sono certo che lui ha capito che siamo un po’ speciali. Vedrai che lo rivedremo presto. Intanto mi faccio un bel sonnellino, buona passeggiata!” e così dicendo s’infilò nello zaino del suo amico.
“Certo che quel gatto aveva proprio uno strano muso!” commentò Giulio quella sera mentre si preparava per andare a dormire. “Più ci penso e più mi ricorda qualcosa! Voglio vedere nel mio sussidiario.” Giulio tirò fuori dallo zaino il suo libro e cominciò a sfogliarlo. “Avevo ragione! Senti qui: 3.000 anni fa i gatti in Egitto erano considerati delle divinità”.
“Che popolo saggio ed evoluto!” commentò Rubio.
“Dai smettila e guarda questo disegno, è un gatto dal muso triangolare proprio come quello che abbiamo visto noi!”
“Beh per avere 3.000 anni mi sembrava piuttosto in forma! Chissà cosa voleva!”. A quelle parole comparì per terra una scritta di luce accompagnata dal consueto odore di incenso. Si guardarono intorno e videro gli occhi luminosi del gatto egiziano che li fissava. Prima che avessero il tempo di dire o fare qualcosa il gatto svanì nuovamente.
“Allora è un vizio!” esclamò contrariato Giulio ma poi insieme a Rubio guardò il messaggio che, al contrario del gatto, era rimasto ben visibile per terra. Purtroppo però quei segni erano assolutamente incomprensibili!
“Io credo che questi siano geroglifici!” disse Rubio allontanandosi un po’ per vederli meglio.
“Ehi, hai visto? Il messaggio sta sbiadendo” lo interruppe Giulio “copiamoli su questo foglio così potremo studiarli con calma”. Fecero appena in tempo che il messaggio svanì.
Il giorno successivo, alla fine delle lezioni, presero in prestito dalla biblioteca della scuola tutti i libri che potevano trasportare e andarono a casa.
Si misero immediatamente a studiarli. La notte era scesa già da un pezzo quando Giulio si addormentò. La mattina dopo la prima cosa che vide fu Rubio chino sui libri. “Ti sei svegliato presto!”. “A dir la verità non mi sono mai addormentato. Ho studiato a fondo tutto quello che abbiamo preso. Triangus, così si chiama il nostro amico, ci sta chiedendo aiuto”.
“ Sei riuscito a tradurre la scritta?”
“Ho fatto di più, ho imparato alla perfezione l’antica lingua egizia!”
“Dai stai esagerando!”
“ ds sfoijf sjfu eee!""”
“Cosa hai detto?”
“Ho detto che mi sottovaluti amico mio!”. “Temo di doverti delle scuse!” proseguì Giulio “Adesso che conosci la sua lingua potremo chiedergli perché appare e scompare in continuazione.”
“Lo farò appena lo vedrò, ora devo dormire perché sono stanchissimo! Buona scuola!” concluse Rubio infilandosi sotto le coperte di Giulio.
Qualche sera dopo mentre erano intenti a giocare con una pallina in camera da letto sentirono nuovamente l’odore d’incenso. Immediatamente spensero la luce in attesa della scritta luminosa.
sfoijf sjfu eee!" Cosa c'è
Rubio, utilizzando una matita dorata ed un cartoncino nero, rispose: "scritto disse?"
“Cosa state dicendo?” chiese Giulio tirando il suo amico per la coda. “Gli ho spiegato che ho imparato la sua lingua e gli ho chiesto di raccontarci la sua storia, se riesci a stare zitto e soprattutto se smetti di tirarmi la coda traduco:
“ sChe cosa stai cercando?
Cosa stai cercando e come ti possiamo aiutare?” scrisse Rubio
“ Da 3000 ann oijf sjfu eee!"
“Da 3.000 anni cerco di liberare la principessa Pietra di luna dal sortilegio di Nefamndon” rispose Triangus
“Chi è Nefamndon?” lo interruppe Rubio
“Un sacerdote del tempio di Hiù” spiegò Triangus e continuò: “Nefamndon chiese alla principessa di diventare la custode del suo tempio. Pietra di luna era stata educata nella sapienza e non credeva nelle divinità egizie, così rifiutò. Il sacerdote si offese e andò via molto adirato ma, qualche tempo dopo, tornò portando in regalo alla principessa un anello. La pregò di accettarlo perché fra loro non ci fosse inimicizia. Pietra di luna lo ringraziò e lo mise al dito. Il sacerdote allora cominciò a ridere. Pietra di luna, che non capiva il motivo di tanta ilarità, si seccò moltissimo e fece per andarsene ma non ci riuscì, cercò di chiamare le ancelle ma non ci riuscì. “Ebbene mia cara”, le disse con un sorriso cattivo Nefamndon, “devi sapere che non sono abituato a ricevere dei rifiuti ed essendo un tipo terribilmente vendicativo ho deciso di punirti. Ti ho imprigionato in una dimensione non reale, finché terrai l’anello non potrai vivere e non potrai morire, dolce principessa, e cercare di sfilarlo è impresa inutile poiché non c’è modo di togliere un anello magico”.
Io ero appena entrato nella sala principale e sentii tutto. Quando il sacerdote uscì mi avvicinai alla mia signora, cercai di toglierle l’anello ma naturalmente non ci riuscii. Pietra di luna era immobile, come una statua, solo una lacrima testimoniava la sua natura umana. Strofinai il mio muso sulla sua guancia e le promisi che l’avrei liberata. Uscii dal palazzo disperato e andai dal vecchio maestro di Pietra di luna. Era un uomo saggio e voleva molto bene alla sua discepola.
Ascoltò con attenzione il mio racconto, mi confortò con buone parole e mi consigliò di chiedere aiuto ad un oracolo che già una volta aveva sconfitto il gran sacerdote.”
“Cosa ti disse l’oracolo?” incalzò Giulio
“Mi diede una risposta che ancora oggi cerco di capire:
Il rimedio è un po’ raro
cerca questo amico caro:
quattordici per incominciare
quattro per terminare
spigoli da evitare
acqua per galleggiare
verità per tornare.

“Non poteva darti una risposta…più semplice? Che so magari….gira tre volte l’anello a destra o qualcosa di simile?”
“Zitto Giulio ..fallo terminare”
“Da allora non faccio altro che cercare di capire le parole del saggio maestro. Qualche giorno fa, quando mi avete visto, ho capito che voi eravate speciali e forse eravate in grado di aiutarmi e così vi ho seguito fino alla scuola.”
“In effetti io e il mio amico Giulio siamo speciali! Vedrai insieme riusciremo a risolvere questo enigma e a salvare la tua principessa!”
“Lo spero amici miei. Tornerò presto a trovarvi” e Triangus svanì.
“Non sei stato un po’ precitoso nell’assicurargli che avremmo risolto l’indovinello? A me sembra incomprensibile.”
“Anche il primo messaggio lo era e poi siamo riusciti a decifrarlo non fare il solito pessimista e mettiamoci al lavoro” ribatté imperterrito il gatto.
E così passarono i giorni. Rubio continuava a contare tutto il giorno, contava gli oggetti, le parole, pronunciava cento volte al giorno Q U A T T O R D I CI ma non riusciva a venirne a capo. Giulio invece aveva riempito un secchio d’acqua e continuava a buttarci dentro tutto quel che gli capitava ma le uniche cose che galleggiavano erano le sue carte!!”
I due amici erano un po’ scoraggiati quando, fortunatamente, una lezione di scienze aprì loro uno spiraglio importante.
“Guardate bambini” cominciò quella mattina la maestra Sofia. “Oggi faremo un esperimento interessante” così dicendo riempì di acqua due bicchieri, in uno mise del sale, nell’altro dell’olio. “Vedete come reagiscono i diversi elementi: uno si miscela, è il caso del sale, ma l’altro no, rimane a galla, ben separato!” “A galla! Rimane a galla! Adesso ho capito!” Giulio era saltato sul banco “Giulio prego” lo interruppe la maestra un po’ seccata da quella reazione “anche gli altri hanno capito ma non saltano sul banco!”
Giulio aspettò la ricreazione e poi chiamò il suo amico invisibile: “Rubio! Rubio! Ho risolto l’enigma!” “Spiegami non capisco” lo incalzò Rubio “Oggi durante la lezione di scienze la maestra ha messo dell’olio in un bicchiere, capisci …OLIO. L’olio galleggia, viene sempre a galla come la verità, l’olio è di quattro lettere e la o è la quattordicesima lettera dell’alfabeto!”
“Bravo Giulio, sei proprio in gamba!” commentò Triangus più tardi.
“Certo, adesso che me lo dite mi sembra così semplice, l’olio sacro del tempio di Raas, da sempre rivale di Hiù, può certamente annullare i malefici del malvagio Nefandon. Grazie amici tornerò indietro nel tempo e salverò Pietra di luna.” “Vengo con te! “ disse Rubio. “Ed io che faccio? Rimango qui?” protestò Giulio “Tu mio piccolo amico non sei magico e per te sarebbe troppo pericoloso un viaggio nel tempo” rispose Triangus.
“Uffa, sempre con questa storia che sono piccolo!”
“Non te la prendere, la prossima volta ti porterò nel regno delle fate” lo consolò Rubio.
Il gatto egiziano guardò Giulio e continuò “Sei un bambino coraggioso ed io ti devo molto, ma credimi proprio non è possibile portarti con noi. Addio Giulio e buona fortuna!”
“Buona fortuna anche a voi!” li salutò rassegnato Giulio “ Rubio quando torni però mi racconti tutto!”.
“Buona notte mamma”.
“Buona notte tesoro”.
Giulio aveva appena spento la luce della camera da letto quando vide sul muro una scritta luminosa “Triangus” chiamò tirandosi su di scatto “macchè Triangus sono Rubio! Hai visto come sono diventato bravo a scrivere con la luce?” Giulio si catapultò sul suo amico ricoprendolo di abbracci.
“Finalmente! Era così preoccupato! Raccontami, siete riusciti a liberare la principessa?”
“ Hai qualche dubbio? Dai mettiti sotto le coperte che ti racconto!”
E così durante la notte Rubio raccontò del viaggio nel tempo e di come lui e Triangus si fossero fatti dare dal sacerdote l’olio sacro per liberare Pietra di luna. “E Nefandon?” interruppe il racconto Giulio “Oh Nefandom lo abbiamo sistemato per le feste! Spacciandomi da divinità sono riuscito ad infilargli al dito l’anello che lui stesso aveva dato alla principessa e adesso è lui ad essere imprigionato nel tempo, non so però se lui ha un amico come Triangus disposto ad aiutarlo! Dimenticavo, ho qualcosa per te” e da sotto la pelliccia rossa tirò fuori un bellissimo papiro
Grazie mio lontano e giovane amico
Mi ha raccontato Triangus
Che senza di te probabilmente vivrei
Ancora prigioniera del tempo
Ti debbo la mia vita
E noi non ti dimenticheremo mai
Che tu possa essere felice per sempre
Pietra di luna



“Adesso Triangus e Pietra di luna sono tornati a vivere felici nel palazzo reale” miagolò soddisfatto Rubio “Dove lo metto il papiro? Giulio? Ti ho chiesto dove metto il papiro? GIULIOOO? Chissà a che punto ti sei addormentato! Pazienza vorrà dire che domani mattina te lo traduco nuovamente. Buonanotte amico mio.”

Il mondo visto da sotto

Bambini” esordì la maestra Sofia in una piovosa mattina di novembre. “Quest’anno il Ministero ha indetto un concorso per il miglior giornalino scolastico e noi, poiché riteniamo di avere gli allievi migliori, abbiamo deciso di parteciparvi.
Sarete voi a scegliere il titolo, perciò, entro la fine della settimana, ognuno di voi, scriverà su un biglietto il nome che più gli piace e lo metterà nella scatola delle belle idee in segreteria”.
“Un concorso nazionale?” mormorarono preoccupati i bambini.“Ma noi non siamo così bravi!”
“Non vi preoccupate di questo” rispose la maestra. “Pensate solo a scegliere un bel titolo!”.
Naturalmente durante la ricreazione in giardino non si parlò d’altro.
“Che ne dite del Pettegolaio, non sarebbe perfetto per le femmine?” propose divertito un bambino, mentre aspettava il suo turno per giocare a sparatappo. “Meglio Il cretinaio!” ribatté subito una bambina seduta accanto a lui: “Così puoi leggerlo anche tu!”
“Cretina sarai tu e le tue amiche!”
“Uffa, come siete noiosi!” si lamentò Rubio, seduto sulla linea dell’arrivo. “Non sapete far altro che litigare!”
Come se avesse sentito il rimprovero del gatto Claudio, prese perbene la mira con il suo tappo d’argento, e disse in tono conciliatore: “Io sul biglietto ho scritto Baby Press, in fondo, un tocco d’inglese ci stia sempre bene!”
“Carino!” disse Giulio. “Peccato che sei uscito dal percorso e devi ricominciare”.
“No! Non vale, stavo parlando!”
I bambini passarono la settimana a discutere sul miglior titolo, sul miglior tappo e su tutto quel che gli capitava finché, finalmente, furono convocati nell’aula grande.
Sul palco era stata messa una grande lavagna:





Si cercano giornalisti esperti di:
Televisione, Giochi, Storia della scuola, Sport, Racconti Fantastici
Per scrivere il giornale della scuola

I bambini interessati sono pregati di comunicarlo al più presto
alla loro maestra.


“Questo è il titolo che ci è piaciuto di più: Il mondo visto da sotto!” esordì la direttrice Suor Angela.
“Sotto di che?” chiesero i bambini.
“Visto da quelli alti sotto un metro e cinquanta” rispose sorridendo una maestra.
“Cioè voi.” bisbigliò Rubio.
“Cioè noi.” precisò Giulio.

“Quel che vogliamo fare insieme a voi” spiegò meglio una terza. “E’ un giornale diverso, che esponga i fatti dal punto di vista dei bambini.”
“Possiamo scrivere che sarebbe giusto abolire i compiti?” chiese una bambina. “Certo Giorgia, ma al tuo posto non ci conterei troppo!” rispose la sua maestra.
“Scegli Storia della scuola, mi sembra un argomento interessante!” suggerì Rubio al suo amico.
“Eh, come no, interessantissimo!” commentò ironico Giulio.
“Sbagli a parlare così. Come tu sai bene, io sono qui da molti anni, e in quest’edificio sono successe cose davvero curiose e divertenti.”
“Per esempio?”
“Per esempio quando la maestra Carlotta cadde dalle scale travolgendo tutta la classe o ancora quando si ruppero i bagni e le classi furono inondate di acqua saponata”.
“Anche tu ti sei bagnato?” chiese divertito Giulio.
“Naturalmente no! Io in quel momento stavo sdraiato sulla scrivania della direttrice a mangiare dei cioccolatini requisiti non ricordo più a chi! Sicuramente però, il momento più bello della scuola fu quando, ancora in costruzione, le fate vennero a vederla. Io ero con loro e le vidi volteggiare sul giardino, che allora aveva degli alberi piccoli….. piccoli…” continuò squadrando il suo amico. “Più o meno quanto te.”
“Io non sono piccolo!”
“Le fate” continuò imperterrito Rubio. “Dissero: I bambini sono la cosa più bella che il mondo possiede, dobbiamo far loro dono di qualcosa di speciale!”
Così dicendo fata Vetusia, la più vecchia di tutte, creò con la sua bacchetta un piccolo vortice di energia; tutte le fate gli si avvicinarono e, una ad una, mormorarono qualcosa. Al termine di quella strana cerimonia il vortice sparì e, al suo posto, comparì una bellissima perla bianca.
Vetusia agitò ancora la bacchetta, e dal nulla apparve un cono di vento che bucò la terra e depose, a molti metri di profondità, la preziosissima perla del destino.”
“La perla del destino?”
“Sì, un gioiello molto antico, da sempre in mano al bene, simbolo di amore e generosità. Le fate, con quella cerimonia, lo regalarono alla scuola. Poi ricoprirono il buco, chiedendo alla terra di ben custodire quel dono così prezioso.”
“E poi che successe ?”
“Niente, la perla deve essere ancora lì”.
“Non posso scrivere questa storia, nessuno mi crederebbe!”
“Puoi scriverla nella sezione racconti fantastici”
“Forse!” rispose Giulio mentre andava a dare il suo nome alla maestra.
E così a natale il giornalino uscì con il contributo di tutti i piccoli giornalisti.
La storia della perla del destino fu regolarmente pubblicata tra i Racconti Fantastici e, insieme agli altri articoli, contribuì a scrivere un giornale che, a detta di Rubio, avrebbe certamente vinto tutti i concorsi.
Tutto trascorreva tranquillamente quando, una brutta notte, Giulio fu svegliato di soprassalto dal suo amico invisibile. “Che c’è Rubio è già mattina?”
“No, è che non riesco a dormire.”
“Sarà colpa delle cinque merendine al cioccolato che ti sei sbafato questa mattina!” biascicò nel sonno Giulio.
“Io ho uno stomaco di ferro!” rispose offeso il gatto. “Credo che il mio sesto senso di gatto magico mi stia avvisando che qualcosa di grave sta accadendo, ma ahimè non so cosa!
“E se rimandassimo a domani? mormorò insonnolito Giulio.
“Va bene. Tanto ora non possiamo far nulla! Buonanotte Giulio”
“’Notte Rubio.”
Il giorno dopo, appena arrivati a scuola, videro il giardino affollatissimo. Tutti i bambini si accalcavano attorno ad una grande buca, così profonda, che non se ne vedeva la fine.
“Pensi anche tu quel che penso io?” mormorò Giulio al suo amico peloso mentre cercava di conquistare la prima fila.
“Sì purtroppo” rispose preoccupato Rubio. “Qualcuno ha rubato la perla!”
“Ma come è potuto accadere?”
“Evidentemente qualche principe del male ha letto il tuo racconto e purtroppo ha capito che tanto fantastico non era.
Rientriamo in classe ora, torneremo più tardi quando non ci sarà nessuno”.
E così fecero. Quella notte, armati di pile e lente d’ingrandimento, scavalcarono il grande cancello rosso della scuola e iniziarono le loro indagini.
“Cerco una corda per calarmi nella buca?” domandò Giulio guardandosi intorno.
“Non serve.” rispose Rubio mentre con la coda disegnava nell’aria un cerchio di luce. “Forza sali!” disse il gatto quando ebbe finito.
Giulio, un po’ titubante, allungò la mano per toccarlo ma Rubio lo rimproverò: “Dai malfidato, il disco reggerà benissimo il tuo peso e il mio!”
Giulio con molta cautela salì sulla luce e, con sua grande meraviglia, si accorse che questa era solida. Ci saltò su e il disco rimase perfettamente immobile.
“Ehi funziona!” commentò Giulio continuando a saltarci su.
“Quando hai finito magari cominciamo a scendere!” lo interruppe acido Rubio.
“Va bene, va bene.” borbottò Giulio. “Non si può neanche giocare un po’!”
La luce si mosse e scese lentamente nella buca.
“Guarda questi canali piccoli e scivolosi. Adesso capisco.” commentò il gatto osservando attentamente la terra.
“Ti dispiacerebbe far capire anche a me quel che sta succedendo?”
“Sono stati quei brutti vermi, viscidi e spioni. Sono loro che hanno rivelato il nascondiglio della perla!”
“E a chi?”
“Non lo so. Domani vai dalla direttrice e cerca di farti dire a chi ha mandato il nostro giornalino, io invece indagherò sulla commissione che esamina i giornali inviati dalle scuole!”
“Bene.” concluse Giulio. “Torniamo a casa adesso altrimenti domani non mi sveglio neanche con le cannonate!”.
“Com’è andata?” chiese Rubio a Giulio il pomeriggio successivo comparendo all’improvviso sulle ginocchia del suo amico.
“Malissimo” rispose Giulio interrompendo la sua partita elettronica. “La direttrice ha detto che lei non era la mia segretaria e mi ha rispedito di corsa in classe.”
“Io invece mi sono intrufolato nell’aula riservata ai membri della commissione e, nascosto dietro un libro, li ho potuti osservare con tutta calma! Erano quattro: un signore calvo, con un gran paio di occhiali sul naso che non faceva altro che leggere e prendere appunti; una cicciona vestita in modo vistoso che chiacchierava a più non posso; poi c’era uno spilungone dai baffetti rossi e infine una donna, dai capelli così lunghi che le arrivavano ai piedi. Aveva un aspetto inquietante e gli altri sembravano evitarla.”
“Interessante” mormorò Giulio.
“Sì interessante, andrò a cercare qualche informazione nel mondo magico” e senza altro aggiungere sparì.
“Oggi interrogazioni” disse la maestra Sofia la mattina dopo. “Chi vuol venire?” Tutti abbassarono gli occhi osservando con attenzione immaginarie macchie sul diario.
“Giulio forse tu vuoi raccontare ai tuoi compagni tutto quel che sai sui castelli?”.
“Proprio oggi che non ho studiato!” pensò preoccupato Giulio.
Lentamente il nostro piccolo amico si alzò e si avvicinò alla cattedra: “I castelli furono costruiti nel medioevo. Nei castelli abitavano re e regine e….”
DRIIN
“Salvato dalla campanella!” miagolò divertito Rubio da sotto la gonna della maestra.
“C’è poco da ridere” rispose sibilando Giulio.
“Già. A proposito di re, questa sera ho convocato Re Bavoso III, il capo incontrastato di tutti i vermi schifosi. Verrà in camera tua quando la luna sarà alta e gli faremo spifferare tutto sulla Regina Artiglia”
“La Regina Artiglia? E chi è?”
“Ah! E’ vero, ho dimenticato di dirtelo. Ti ricordi la donna dai capelli neri, il quarto membro della commissione?”
“Sì, certo.”
“Le fate mi hanno detto chi è. E’ una strega molto conosciuta nel mondo magico, famosa per i suoi capelli e per la sua avarizia, regina del mondo del niente.
Artiglia da tempo era alla ricerca del nostro gioiello. Stasera da Re Bavoso ci faremo dire dove ha portato la perla e speriamo di essere ancora in tempo.”
Quando tutte le luci della casa furono spente Giulio e Rubio si misero al centro della stanza in attesa del Re.
Bavoso III non si fece aspettare.
Un tunnel nero apparve sul tappeto bianco di Giulio. I due amici lo fissarono con intensità e dopo poco comparve una striscia biancastra su cui scivolò il re.
“Cosa vuoi Rubio, perché mi hai convocato qui e alla presenza di un umano per giunta!”
“Voglio che tu mi dica dove hai nascosto la perla!”
“Che perla?”
“Su Re Bavoso” intervenne Giulio. “Facciamola corta; se ci riveli questo segreto potrai prendere dalla mia camera tutto ciò che vorrai.”
“Sciocco bambino. Che vuoi che me ne faccia dei tuoi giocattoli, non ve lo dirò mai dov’è la perla del destino!”
Ma, mentre pronunciava un così sdegnoso discorso, Rubio gli si era lentamente avvicinato, con una zampa aveva chiuso il tunnel e con l’altra, a pochi centimetri dal re, aveva sfoderato un poderoso artiglio.
“Amico mio, mio nonno, i vermi come te, se li mangiava tutti i giorni a colazione! Sarà meglio che collabori con noi se non vuoi fare una brutta fine.”
Re Bavoso, già biancastro di per sé, impallidì ancor di più e poi, rendendosi conto che non c’erano vie d’uscita, cominciò a lamentarsi: “Io non volevo! La regina ci ha promesso molte cose, tra cui la morte se non gli obbedivamo!”
“Dimmi dov’è!” ruggì Rubio.
“Credimi” piagnucolò Bavoso. “Sono stato costretto, ma la perla è ancora lì, alla scuola. Troppo pericoloso farla uscire, le fate stavano in guardia.”
“Bene, adesso mi porterai dove l’hai nascosta. Sali sul mio artiglio e ricordati di mio nonno!”
“E io?” chiese Giulio. “Tu aspetti qui, io tornerò presto!”
“Uffa al solito!” ma Rubio e Bavoso erano già spariti.
“Allora Giulio” disse la maestra. “Ieri avevi appena cominciato a parlare dei castelli, vuoi proseguire per favore?”
“Sì, ecco …è successo che …” Giulio stava per dire alla maestra che, ieri in seguito ad un terribile ed improvviso mal di pancia, non aveva potuto studiare quando, un bisbiglio dietro di lui, mormorò: “I castelli furono costruiti in Europa nel medioevo. Molti di questi castelli sono situati in luoghi alti o vicino al mare….” Giulio sorrise, prese fiato e ripeté “I castelli….”
“Grazio Rubio mi hai salvato!” disse Giulio stringendo forte il suo amico invisibile alla fine della lezione.
“La prossima volta però se non studi ti lascio in mezzo ai guai!” mentì il gatto divincolandosi dall’abbraccio del suo amico.
“Allora com’è andata ieri?” chiese curioso Giulio.
“Benissimo! Bavoso non ha fatto storie. Mi ha portato dove teneva la perla. Immediatamente è arrivata Vetusia che ha provveduto a nascondere nuovamente il gioiello in un posto, questa volta, assolutamente sicuro. Poi mi ha consegnato un messaggio da portare alla Regina Artiglia.”
“Posso venire con te quando glielo porti?”
“Mi dispiace Giulio ma l’ho già fatto. Comunque il messaggio era breve e Artiglia ha capito subito!”
“E cosa diceva il messaggio?”
“SPARISCI!”
A quel punto Giulio e Rubio cominciarono a ridere a più non posso e non smisero fino alla fine della ricreazione quando Giulio, con ancora le lacrime agli occhi, rientrò in classe.
Alla fine dell’anno la Direttrice richiamò i suoi alunni nell’aula grande.
“Cari bambini sono felice di annunciarvi che il giornale della nostra scuola è stato giudicato il più bello dai tre membri della commissione nazionale.”
“Ma Suor Angela non erano quattro?” la interruppe una maestra.
“Sì, ma senza dare spiegazioni uno degli elementi della commissione si è ritirato!”
“Chissà come mai!” bisbigliò ridendo Rubio tirando una gomitata sullo stomaco del suo amico.
“Comunque per festeggiare l’avvenimento domani a scuola non ci saranno lezioni ma solo giochi che proseguiranno tutto il giorno in compagnia di bibite panini e dolci!”
“Urrà per Suor Angela!” gridarono felici io bambini e tutti contenti uscirono orgogliosi di aver vinto un concorso nazionale.

Un menù di noia

“Secondo te ci sta bene lo zenzero nel risotto al Curry?” chiese Giulio a Rubio mentre apriva l’ennesimo barattolo di spezie. “Non lo so” rispose il gatto comodamente acciambellato su uno sgabello. “Nel mondo delle fate non si cucina mai!”
Erano già passate tre ore da quando i due amici. Dietro i fornelli in cucina stavano facendo i compiti ma, nonostante i loro sforzi, erano ancora piuttosto indietro.
I compiti in cucina? Dietro i fornelli? Si, proprio così.
La maestra, quella mattina, aveva chiesto ai bambini della sua classe di preparare un piatto di un Paese straniero a loro scelta.
Giulio aveva preso i libri di ricette della mamma e, dopo molto pensare, aveva scelto un piatto indiano: “Riso al curry”.
“Sento già nostalgia delle tabelline” si lamentò Giulio mentre tirava fuori tutte le padelle disponibili in cerca di quella giusta. “Invece io trovo tutto questo interessante!” obiettò Rubio e continuò: “se aggiungiamo un po’ di coda di topo dovrebbe essere più saporito, non credi?”
“Perché no! Anche denti di vampiro se vuoi!” bofonchiò il bambino.
“Spiritoso!”
“E tu perché non mi aiuti invece di dire scemenze?” concluse seccato Giulio.
Il gatto magico, un po’ offeso, prese il libro delle ricette e cominciò a declamare: “Far stemperare il curry nel burro….naturalmente tu sai che vuol dire stemperare vero?” continuò con aria di superiorità “Si.” rispose Giulio. “Vuol dire che dobbiamo farci aiutare da mamma”.
“Quante volte te lo devo dire? I compiti non li devono fare i genitori!” lo rimproverò Rubio “Su, prendi il vocabolario.”
“Va bene, va bene!” borbottò Giulio arrampicandosi sulla libreria. “Sai” continuò il bimbo mentre cercava la lettera S “domani ci sarà anche un maestro dietologo che giudicherà i nostri piatti”.
“Chi è un dietologo?” domandò curioso il gatto.
“Uno che ti direbbe di mangiare di meno e correre di più!”
“Insomma uno che mi direbbe che sono un ciccione! Già non mi piace questo maestro!”
“Non sei ciccione, sei solo un po’….grasso?”
“Nessuno ha chiesto la tua opinione, pensa piuttosto a girare il riso”. I due amici si azzuffarono per un po’ ma poi, come sempre accade fra gli amici, fecero pace e terminarono senza ulteriori discussioni la preparazione del piatto.
La mattina dopo, a scuola, tutti i bambini portarono, dentro ermetici contenitori, i compiti che avevano cucinato.
I piatti furono disposti sui banchi della classe e, all’ora di pranzo, tutta la scuola assaggiò le pietanze più strane.
“Buono il gulasch vero?” chiese Giulio al suo amico invisibile. “Non lo so.” Rispose il gatto “Ho deciso di mettermi a dieta!” rispose il gatto lisciandosi il pelo sulla pancia. “Dai Rubio, ieri scherzavo! Non sei grasso e non dovrai correre, te lo prometto. Assaggia questo moussakà greco!”
“Bambini” li interruppe la maestra “questo è il dottor Tedius. E’ un esperto d’alimentazione e, oltre a premiare il piatto migliore, c’insegnerà a mangiare”.
“Ma è tutt’ossa!” commentarono i bambini a bassa voce “siamo sicuri che sappia mangiare?”
In effetti, il dottor Tedius, era molto magro. Molto magro e molto alto. Aveva un naso lungo e affilato, una bocca sottile e folte sopracciglia nere. Nell’insieme il suo aspetto era così singolare che gli dava un’aria quasi spettrale.
Tedius si avvicinò ai banchi e, con aria estremamente critica, cominciò ad assaggiare: “Questo è un piatto buono, ma troppo ricco di grassi. Questo manca completamente di sale, ma potrebbe essere un bene, il sale trattiene i liquidi”
“Ma di che liquidi parla?” chiese sottovoce Giulio. “Boh!” rispose con aria affitta il suo compagno di banco.
“Questo invece è un tipico piatto della cucina mediterranea, ma l’olio non è quello giusto”
“Che noia questo dietologo!” miagolò Rubio sulla spalla del suo amico.
“Non chiacchierate!” tuonò Tedius interrompendo la lezione per guardare con aria di rimprovero i bambini.
“Io non ho detto niente” si giustificò Giulio che si era sentito chiamato in causa.
“Hai detto che noia, ti ho sentito benissimo” incalzò il maestro.
“Non sono stato io, è stato … beh lasciamo perdere”
“E’ proprio antipatico! Se essere magri fa quest’effetto preferisco rimanere grasso!” commentò Rubio.
“La smetti?” sibilò Giulio per non farsi sentire. “Mi sto prendendo un sacco di sgridate per colpa tua!”
Le lezioni di scienza di alimentazione continuarono per tutta la prima parte del quadrimestre con cadenza settimanale e, malgrado la maestra cercasse di ravvivarle, il Dottor Tedius, con il suo tono basso e monotono, le rendeva proprio insopportabili.
Gli studenti andarono a lamentarsi dalla preside.
“Mi dispiace ragazzi ma questo è il dottore che ci ha mandato il ministero. Si, lo so, è un po’ noioso, ma l’alimentazione è una cosa importante, è bene starlo a sentire”.
I bambini più grandi, durante le vacanze di natale, si riunirono per studiare un piano per allontanare Tedius dalla scuola: “Potremmo imitare la scrittura del Ministro e lo trasferiamo urgentemente, immediatamente, improrogabilmente da un’altra parte!” suggerì Francesco che sapeva rifare le firme dei genitori di tutta la sua classe. “Buona idea!” rispose il gruppo dei ribelli “ma . . scegliamo un’altra parte che sia ben lontana!”
I cospiratori presero i loro atlanti e cominciarono a discutere su quale continente fosse il più distante dalla scuola.
“Uff, quante storie per un maestro un po’ barboso!” esclamò Rubio - sempre presente quando nella scuola si faceva o si decideva qualcosa d’importante - “Se aveste studiato, come ho fatto io, sapreste che i libri di storia sono pieni di rivoltosi finiti malissimo!”.
“Stai diventando più noioso di Tedius, cosa che ritenevo, fino a poco tempo fa, un’impresa impossibile!” gli fece osservare acido Giulio.
“Fate come volete, ma io non sarò vostro complice” concluse Rubio e sparì.
I piani per eliminare il noioso maestro non si concretizzarono mai, neanche quando, all’inizio del secondo quadrimestre, le lezioni, per volere di Tedius, e con gran disappunto di tutti, divennero giornaliere.
“Allora bambini” esordì il maestro qualche tempo dopo “oggi è il primo giorno di primavera e quindi…”
“e quindi non facciamo lezione?” chiesero speranzosi i piccoli allievi. “Naturalmente no.” Rispose il maestro facendo finta di non sentire il brusio di protesta che si levava dall’aula “oggi, poiché non lo abbiamo mai fatto, elencheremo tutti gli alimenti in ordine di stagione ….”
“Secondo te i topi in che stagione devono stare ?” sbadigliò il gatto. “Non lo so, l’unica cosa che so è che è vorrei che scomparisse! A proposito, forse…potresti…” lo guardò speranzoso Giulio “No, non potrei!” lo interruppe Rubio guardandolo malissimo.
Tedius intanto continuava la sua soporifera lezione: “quando avremo finito li ripasseremo in ordine alfabetico…”.
Ma quel giorno accadde qualcosa che impedì lo svolgimento del noioso programma.
Tedius era alla lettera C di cavolo quando cominciò a sentire un gran prurito un pò dappertutto. Sul collo, sulle braccia, sulla pancia.
Si grattava facendo strani movimenti per non farsi vedere ma, in questo modo naturalmente, aveva attirato l’attenzione di tutti i suoi alunni, che guardavano con grande interesse quelle strane evoluzioni.
In realtà, quel che stava succedendo al malcapitato, era colpa di Rubio che, per divertire un po’ i suoi piccoli amici, stava infilando con gran destrezza la sua coda invisibile nel colletto della camicia, fra i bottoni dei polsini e in altri posti creando al maestro quel gran fastidio.
La situazione diventò estremamente imbarazzante per il dottore, ed estremamente divertente per i bambini quando, il poveraccio, cominciò a grattarsi anche il sedere.
In breve tutta la classe scoppiò a ridere.
“ADESSO BASTA STUPIDI BAMBINI” urlò il maestro.
Era veramente furioso. Tutto rosso in faccia e con la voce che gli tremava per la rabbia.
E con la collera cresceva la sua altezza.
Cominciò così a diventare più grande, sempre più grande finché la sua testa non toccò il soffitto e le sue mani non raggiunsero le pareti.
Le risate furono sostituite dal silenzio, l’allegria dalla paura.
“Che succede?” chiese sottovoce Giulio a Rubio “succede che non credo che Tedius sia un dietologo come vuol farci intendere. Ci vediamo più tardi ” e scomparì.
Intanto un grande gelo era sceso sulla scuola. I bambini, spaventati, non osavano neanche fiatare e tutti fissavano Tedius in attesa di qualcosa ancor più terribile.
L’orribile gigante rimase fermo, alto alto, per alcuni secondi e poi pronunciò sinistre parole.
Quando ebbe finito, tornò lentamente alla sua statura normale e i bambini, magicamente, dimenticarono completamente la lezione di quel giorno.
“Per oggi basta, continueremo domani” disse calmo Tedius, come se nulla fosse accaduto.
Tutto era tornato come prima e, a parte le mani del maestro che erano ancora un po’ più grandi del normale, non c’era nessun indizio di ciò che era successo.
Poiché nulla ricordavano, tutti si alzarono contenti della fine della lezione, e corsero in giardino per la ricreazione.
“Giulio, Giulio”.
“Che c’è Rubio lasciami stare, sto giocando a nascondino e se continui a distrarmi mi vedono”
“Ma come puoi giocare in un momento come questo?”
“Perché, cosa ha di particolare il momento della ricreazione?”
“Giulio, non pensi al dottor Tedius?”
“Meno ci penso e meglio sto! Oggi è stato così noioso che non ricordo neanche una parola di quel che ha detto!”
“Non ti ricordi neanche di quando urlava con la testa che toccava il soffitto?”
“TANA PER GIULIO”
“Ecco, te l’avevo detto che mi avresti fatto scoprire!”
“Ho capito, in biblioteca a parlare”.
“Ora?”
“Ora!”
Così Rubio raccontò al suo amico della trasformazione di Tedius.
“Possibile che non ti ricordi niente?” chiese Giulio
“Deve aver fatto una magia. Tedius è un mago della noia piuttosto bravo.”
“Un mago di che?”
“Un mago della noia. Si infiltrano fra gli umani e con un fiume di parole riescono ad addormentare il cervello di chi li ascolta. Possono essere maestri, oratori, in genere individui che parlano parlano senza in realtà dire mai niente.”
“Infatti nessuno di noi ha imparato qualcosa da questo maestro”
“Ti prego, non chiamarlo maestro perché non lo è. Questi esseri magici riescono ad essere così noiosi che, dopo un po’, le persone smettono di ascoltare e poi di pensare. E’ in questo modo che si impossessano della ragione delle loro vittime.”
“Oh ma su di noi il dottor Tedius non ha molto potere!”
“E’ perché le menti dei bambini sono difficili da domare. Se una cosa non vi interessa, voi non vi fate nessuno scrupolo per il vostro interlocutore. I vostri pensieri vagano liberi, seguendo quel che più vi piace in quel momento, può essere il volo di una farfalla o la partita a calcio che avete appena giocato. Insomma siete faticosi e difficili anche per i maghi cattivi!”
“Come sei spiritoso!” commentò Giulio sarcastico e continuò “E come possiamo togliercelo finalmente dai piedi?”
“Non dovrebbe essere difficile. I maghi della noia naturalmente non sopportano la curiosità e noi non dobbiamo far altro che sommergerlo di curiosità.”
“Ho capito, che pizza, mi tocca studiare!”
E così Giulio e Rubio si preparano per affrontare Tedius.
Qualche giorno dopo erano pronti per il duello.
Il mago entrò nell’aula grande, stava per iniziare quando Giulio alzò la mano: “Cosa vuoi?” domandò seccato il maestro. “Posso fare una domanda?”
“Se proprio devi!”
“Perché lo zafferano prima è rosso e poi è giallo? E vorrei anche sapere perché per cuocere il riso ci vuole più tempo che per cuocere gli spaghetti? Inoltre perché i popoli mangiano cose diverse?”
E continuò così per parecchi minuti.
All’inizio Tedius era solo un po’ infastidito da quelle domande, ma poi il fastidio diventò paura quando anche i compagni di Giulio, felici di poter tormentare il noioso insegnante, si unirono a lui nel chiedere le cose più insolite.
Il mago, sommerso da tutti quei quesiti respirava a fatica, e quando gli fu chiesto perché i cavoli cotti puzzano così tanto il poveretto accadde una cosa strana: un pezzo dell’orecchio gli si staccò e si dissolse.
E ad ogni domanda il maestro perdeva un pezzetto di sé. Era una cosa terribile ma i bambini non sembravano spaventati anzi, continuavano a domandare divertiti da ciò che stava accadendo
“Ma che succede?” chiese Giulio che dopo le prime domande era rimasto in disparte a guardare. “I miei amici invece di piangere spaventati ridono!”
“Amico mio” rispose il gatto loro pensano di essere in un sogno per questo non hanno paura”
“Ah ho capito, ci hai messo lo zampino” disse Giulio striando l’occhio
Nel frattempo Tedius diventava sempre più piccolo finchè alla fine non sparì completamente.
“Beh, almeno non è stata una morte noiosa!” commentò ironicamente Giulio.
“GIULIO!” disse il gatto con tono di rimprovero. “Comunque questo servirà di lezione anche ai suoi compagni che certamente non verranno più in questa scuola!
“Naturalmente adesso farai dimenticare a tutti questa spiacevole esplosione” mugugnò Giulio.
“Naturalmente” assentì il gatto.
“Uffa” protestò Giulio.
“Però un giorno mi porti nel regno delle fate”
“Va bene” promise Rubio leccando il naso del suo amico.

Un compito da costruire


L’anno scolastico era appena cominciato quando le maestre comunicarono ai ragazzi che, come compito, entro natale avrebbero dovuto costruire nel giardino della scuola un orto botanico.
Più divertente che ripassare tabelline pensarono i bambini contenti e durante la ricreazione cominciarono a dividersi i compiti-
“Ah non contare su di me per i lavori manuali!” sussurrò Rubio nell’orecchio di Giulio mentre divideva con lui un panino al prosciutto. “Io come sai sono un gatto sapiente non un gatto operaio!”.
Amico mio vorrà dire lasceremo agli altri la costruzione delle serre e noi cureremo il progetto. In fondo - pensandoci bene - anch’io sono poco adatto ai lavori manuali.”
“Allora da dove cominciamo?” chiese la sera dopo Giulio al suo amico invisibile mentre riempiva la vasca per il bagno. “Cominciamo cosa?” miagolò Rubio mentre, accovacciato sul lavandino, guardava con ostilità l’acqua. “Da dove cominciamo a disegnare le serre? Le facciamo rettangolari, quadrate o come? Possiamo mettere qualche guglia?”
“Guglia? Cosa sono le guglie, non le ho mai viste nel regno delle fate!” domandò perplesso Rubio. “Ma tu non eri quello che sapeva tutto?!” ribatté seccato Giulio. “Ho detto di essere un gatto sapiente non un gatto onnisciente e poi è impossibile ed inutile sapere tutto!” replicò Rubio con aria di superiorità. “Sarà sufficiente trovare il libro dove ci siano le risposte alle tue domande!”.
“Ho capito” mormorò sconsolato Giulio “niente progetto, mi toccherà zappare !”
Ad ottobre – a scuola - i lavori erano in pieno fermento. Bacchette di legno, cupole di plastica, sacchetti di terra si accatastavano in ogni angolo del giardino nell’attesa di essere utilizzati. E poco prima di natale finalmente, le serre furono completate.
“Va bene” disse la maestra quando ebbero finito il lavoro. “Adesso ognuno pianti i semi che ha scelto”.
“Che pianta è questa?” domandò curioso Claudio mentre guardava Giulio interrare un grosso bulbo blu.
“E’ un dono di Gino, il fioraio” Rispose Giulio continuando a lavorare. “Gino mi raccontò che aveva quel bulbo da molto tempo ma non ne ricordava il nome né chi glielo avesse venduto!”. “Più rimbambito di te” bisbigliò Rubio a Giulio. “Uff!” con un gesto Giulio allontanò il gatto e proseguì. “In ogni modo, giacché lo abbiamo, piantiamolo insieme con gli altri e speriamo che sia una bella pianta.”
Dopo qualche settimana i primi germogli cominciarono a vedersi e i bambini, entusiasti del loro lavoro, andarono ogni giorni a controllarli.
Dentro le serre tutte le piantine crescevano con regolarità ma, quella nata dal seme blu, non aveva uguali. Dopo appena due settimane i rami erano già carichi di piccoli e bellissimi fiori azzurri.
Gli alunni della scuola ne erano affascinati e tutti, alla fine delle lezioni, correvano in giardino per ammirare quei magnifici fiori.
“Etciu - etciu”
“Salute” disse Rubio quando Giulio ebbe terminato un’inesauribile serie di starnuti.
“Dove hai preso questo raffreddore?” chiese il gatto al suo amico. “Oh lo sai che ho sempre caldo, mamma ha sempre freddo ed il risultato di questa diversità di opinioni è un togli-e-metti continuo di maglie e giacconi. Alla fine mi ammalo sempre!”
“Per fortuna io ho una bellissima pelliccia rossa che non tolgo mai e nessuna mamma mi dice quello che devo fare!”. Mentre Giulio e Rubio discutevano sull’utilità delle mamme Massimo arrivò correndo in giardino. “Senti che buon profumo!” disse tuffando il naso fra i fiori blu. “Etciu - l’unica cosa che sento sono le tue parole! Non vedi come sto? E’ da giorni che questo raffreddore mi perseguita.” rispose Giulio soffiandosi sonoramente il naso. “Dai, andiamo a giocare” continuò sostituendo in un battibaleno al fazzoletto la sua nuova trottola. “la trottola più veloce che ho mai posseduto!”
“No. Non mi va!” sospirò Massimo cambiando repentinamente umore. “Starò qui, non ho proprio voglia di giocare” e così dicendo si sedette con aria triste sul gradino del marciapiede.
“Come vuoi. Ci vediamo in classe” gridò Giulio mentre si allontanava con Rubio al fianco. “Strano che Massimo non abbia voluto giocare con te” commentò il gatto. “Ultimamente è spesso malinconico, e non è il solo, è sempre più difficile trovare qualcuno che abbia voglia di giocare”
“E’ colpa di quella stupidissima pianta dal seme blu! I miei amici invece di giocare sono sempre lì a guardarla. Non capisco cosa abbia di interessante, a me mette solo tristezza!” ribatté seccato Giulio.
Rubio alzò il muso, annusò l’aria come per catturare un’idea, un’intuizione. “Hai ragione amico mio quella pianta sconosciuta affascina tutti i bambini. Intorno a lei c’è una strana aria, un’aria malvagia!”
“Ma va! Non c’è proprio niente di strano o di magico in quei fiori, ho solo degli amici che hanno deciso di essere noiosi”
“Sarà” rispose poco convinto Rubio “ma adesso ti devo lasciare” e si dileguò.
Dopo circa una settimana, Giulio stava andando a letto quando sentì la morbida coda del gatto magico solleticargli il naso.
“Bentornato! Dov’eri finito?” chiese un po’ sollevato Giulio vedendo di nuovo il suo amico peloso.
“Sono andato nel regno delle fate per chiedere consiglio”.
“Consiglio? Su che cosa?”
“Su quello che sta accadendo qui. Ricordati che vivo in questa scuola ormai da molti anni e tutta questa apatia non è normale!”
“Mettiti sotto le coperte che ti racconto e così il gatto, comodamente sdraiato sul cuscino di Giulio, disse che le fate erano rimaste molto impressionate dal suo racconto e che si erano riunite per parlarne. La tristezza che regnava nella scuola non aveva senso. La discussione si fece accesa ma nessuna tesi sembrava prevalere finché, ad un certo punto, intervenne la più anziana delle fate, Vetusia – raccontando una storia antica - ormai dimenticata - la storia di Astrablu.
Astrablu non era una fata buona, odiava tutti ed in particolare i bambini e spesso utilizzava la sua magia per fare del male. Le fate, per punirla della sua cattiveria, la esiliarono nel terribile regno dell’oscuro, un regno dove la luce non entrava mai e dove soffiavano in continuazione venti gelidi!.
“Etciu Brr . . . mi vengono i brividi solo a sentirlo raccontare!” interruppe Giulio ”
“La smetti di farmi la doccia ogni volta che starnutisci?! Lo sai che noi gatti non amiamo l’acqua!”.
“Scusami! Non riesce proprio a passarmi questo noiosissimo raffreddore!”
“E’ possibile continuò Rubio che Astrablu abbia lasciato “cattive magie! In giro per il mondo
Le fate mi hanno chiesto di ispezionare la scuola mi aiuti?
Così Passarono la mattinata successiva a guardare sotto i banchi e dietro le lavagne ma, apparentemente, tutto sembrava normale. Nessun essere stravagante, magico o non, sembrava entrato nelle classi e Rubio e Giulio non trovarono alcuna traccia di Astrablu.
Più tardi, mentre controllavano il giardino Rubio, senza rendersene conto, andò a sbattere contro un annaffiatoio che si rovesciò su di lui bagnandolo completamente. “Questa volta non è colpa mia!” disse ridendo a più non posso Giulio. “Sei veramente buffo, più che un gatto sembri un pulcino!”.
“Perché tu ridi?”
“Come perché io rido?” rispose fra i singulti Giulio. “Guardati allo specchio e capirai”
“No, non hai capito. Mi chiedo perché tu sei l’unico bambino della scuola che ride.”
“Forse perché sono l’unico che ha un gatto che assomiglia ad uno straccio per lavare per terra!!” continuò sempre con le lacrime agli occhi Giulio.
“Smettila sto parlando seriamente!!”
Giulio respirò profondamente per farsi passare la ridarella e cominciò ad ascoltare con attenzione le parole del suo amico.
“Che cosa ti distingue dagli altri?” continuò il gatto.
“Sono il più bello?”
“Insomma la fai finita?! Sto cercando di capire, ti dispiace aiutarmi?”
“Va bene, va bene” rispose Giulio. “L’unica cosa che mi viene in mente di diverso rispetto agli altri è questo naso gocciolante!”
“Umh” rifletté Rubio. “Forse il tuo raffreddore ti ha in qualche modo protetto”
Giulio, che era finalmente tornato serio, azzardò un’ipotesi: “Il raffreddore non fa sentire alcun odore forse è proprio attraverso questo senso che la cattiva magia agisce”.
“Potrebbe essere, ma in questo caso, quale odore ha catturato il sorriso dei nostri amici?” riprese Rubio strusciandosi sul grembiule di Giulio per asciugarsi un po’. “L’unica novità della scuola è l’orto botanico, con le serre … i fiori….” continuò pensieroso il gatto. “I fiori. I fiori azzurri sono nati dalla noce blu, blu come la notte, blu come Astrablu e Gino non ricordava come quella noce fosse finita lì fra i suoi scaffali e la prima volta che ho visto Massimo infelice” ricordò Giulio. “Si trovava proprio vicino a quella pianta.”
“L’incantesimo malvagio di Astrablu rende infelici i bambini attraverso il profumo che questi fiori sprigionano. Sono certo che è così” sostenne Rubio. “Stanotte entreremo di nascosto nella scuola ed estirperemo la pianta.”
E così fecero. Aspettarono la notte e poi, con il favore delle tenebre, scavalcarono il grande cancello rosso della scuola.
“Dai tiriamo insieme!” i due amici abbracciarono il fusto della pianta e cominciarono a tirare, ma più tiravamo e più le radici si chiudevano a pugno sulla terra vincendo quel terribile tiro alla fune.
“Uff, non ce la facciamo” disse Giulio cadendo esausto per terra. ”Se non riusciamo a battere Astrablu con la forza dobbiamo batterla con l’astuzia” esclamò Rubio accovacciato sulla pancia del suo amico. “Facile a dirsi più difficile a farsi!” rispose Giulio. “Eppure DEVE esserci un modo per sconfiggerla!” miagolò arrabbiato Rubio.
Tornarono a casa entrambi concentrati sulla risoluzione del difficile problema. Si misero a letto e quando il sonno sembrava aver la meglio Rubio saltò sulla pancia di Giulio.
“Io credo che una grande anzi grandissima risata potrebbe sconfiggere questo sortilegio”
“Ma sei proprio sicuro?”
Rispose Giulio che si era svegliato di colpo
“Si certo”
“Fra poco faremo le prove della recita di fine anno. Sei capace di entrare nell’ufficio delle maestre e sostituire il copione?”
“Certo, sono un agente segreto formidabile io!”
“Bene allora preparati, stanotte riscriveremo il testo della recita e domani lo sostituiremo all’originale”.
E così i due amici lavorarono fino alle prime luci dell’alba e, quando la mattina dopo arrivarono a scuola, in perfetto orario, Giulio aveva nel suo zaino una copia dello spettacolo di fine anno, esternamente identico a quello conservato dalla maestra nel suo cassetto, ma con i contenuti un po’ diversi.
“Speriamo che funzioni! E se la maestra se ne accorge?” mormorò preoccupato Giulio al suo amico invisibile. “
“Non se ne accorgerà, stai tranquillo, andrà tutto bene” rispose ottimista il gatto.
La settimana dopo le maestre, grazie anche a Rubio che usò un po’ della sua magia per confonderle, presero per buono il nuovo testo e cominciarono a lavorarci.
“I bambini con le mollette al naso! Buffe storie da raccontare! Non ricordo di aver mai messo in scena una recita così stravagante” disse la maestra di Giulio alla direttrice. “Sì neanch’io lo ricordo, ma è meglio così. Speriamo che i bambini si divertano. Quest’anno è stato strano, difficile, un po’ di allegria proprio ci vuole!”
E così, alle prove generali, tutti gli alunni si presentarono nel teatro della scuola con una molletta sul naso e spaghetti colorati in testa.
Ad uno ad uno cominciarono a raccontare barzellette e divertenti racconti accompagnati da salti e piroette. La molletta impedì loro di essere sottoposti al maleficio di Astrablu e così, ascoltando i loro compagni e vedendoli vestiti in modo così bizzarro i bambini cominciarono a ridere e a prendersi in giro.
Risero tutti, senza mai smettere, e più le risate si facevano forti più la pianta si accartocciava su se stessa. Quando la recita finì tutti i bambini tirarono in cielo in segno di festa le mollette. Giulio, dapprima guardò tutti quei colori che contrastavano con l’azzurro del cielo ma poi si voltò preoccupato verso i fiori azzurri.
Fortunatamente i fiori erano tutti appassiti e la pianta morta.
Le risate di tutti i bambini della scuola avevano vinto la magia di Astrablu e ormai non c’era più nessun pericolo.
“Anche questa è fatta” miagolò felice Rubio sulle spalle di Giulio. “Sì, ma quando posso raccontare di essere un eroe?”, sussurrò Giulio all’orecchio del gatto. “Lo sai che il mondo magico non può essere svelato” rispose Filippo. “Ma puoi essere fiero di aver salvato i tuoi compagni!”
“Beh me lo farò bastare!” disse sorridendo Giulio e poi corse verso i suoi amici per tornare finalmente a giocare con loro!